L'Associazione Culturale "Un Grup di Amis" nasce nell'inverno del 1976 costituita da un gruppo di giovani, per dar vita ad un " foglio " che testimoniasse la volontà di quelle giovani generazioni, di reagire alla tragedia disgregante del terremoto attraverso l'impegno personale, per valorizzare le peculiarità del nostro paese, le sue tradizioni la sua storia.

Nasce così il primo numero del giornale "CICUNINS SIMPRI MIOR" realizzato da un primo nucleo di giovani che, con entusiasmo ed idee, si propongono di dare continuità al giornale, ma intendono anche " esplorare " altre strade alla ricerca delle proprie radici.

Con questi obiettivi, l'Associazione ha continuato ininterrottamente ad operare fino ad oggi, riuscendo non solo a rinnovarsi nelle persone e nelle iniziative ma anche a stare al passo con i tempi sotto il profilo giuridico.
Infatti, da Associazione spontanea si legalizza nel 1984 ed iscrive la testata del proprio "foglio " in Tribunale nel 1986.

In questi ventidue anni di storia le iniziative sono state molteplici e si sono orientate su due direttrici: la prima rivolta più specificamente alla gente del paese e delle comunità limitrofe; la seconda tesa a promuovere iniziative di un certo livello culturale che hanno trovato ampio consenso non solo a livello locale ma anche regionale e oltre.
Tutte queste iniziative, per la maggior parte, hanno avuto il pregio di aver reso partecipe buona parte della gente di Ciconicco.
Basti pensare che, per la Rappresentazione scenica in costume della Passione e Morte di Cristo, le persone attivamente coinvolte sono circa duecento, comprendendo in tale numero sia quanti sostengono il r uolo di comparse che quelli addetti ai diversi compiti organizzativi (carpentieri - sarti - pittori - grafici - muratori - ecc..).

Per quanto riguarda il giornale, i collaboratori, cioè chi scrive, sono quasi tutti di Ciconicco, per la maggior parte giovani.
Il Sodalizio, grazie a questa attività e alla stretta collaborazione con le locali Scuola Materna ed Elementare ( per coinvolgere i bambini nel giornale, per allestire il carnevale, ecc..), si pone come riferimento culturale e centro di animazione ricreativa per i giovanissimi e giovani.

Per tutte le attività che si intraprendono, ci si avvale delle strutture presenti in paese e delle risorse derivanti in parte da contributi di Enti Pubblici ed in parte da privati.
Da alcuni anni, le risorse a disposizione sono più scarse sia per il lievitare dei costi da sostenere sia per le difficoltà di bilancio nella quali si trovano le Amministrazioni Pubbliche.

A fronte di questa situazione, giocoforza, l'Associazione si è trovata costretta a ridimensionare le sue iniziative e a ricercare eventuali sinergie con le altre realtà associative locali, nella prospettiva di poter almeno mantenere quelle manifestazioni che fanno parte oramai del bagaglio delle tradizioni locali.

 

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Joannes Napoleon Pellis: ricordi autobiografici e lettere

Giovanni Napoleone (Joannes Napoleon sul registro battesimale) nasce a Ciconicco, frazione del Comune di Fagagna il 19 febbraio 1888, da Valentino e Maria Zoratti.
La sua casa natale è un grande edificio che anche oggi dopo un sapiente restauro, lascia intravvedere l'agiatezza dei proprietari. In un grande cortile ben curato troviamo, ultimo di sette fratelli il Pellis bambino, vivace, un po' monello ma soprattutto già predisposto verso quell'arte che egli chiamerà nel suo diario "un male dalle radici profonde".
Sono memorie che portano nel suo mondo e le parole diventano presto immagini. "I migliori ricordi della mia infanzia sono: la passione pei colori e per l'argilla con cui mi divertivo a costruire nidi con uccelli e pupazzi e animali, la passione di correre col cane e gli amici per la campagna assolata in cerca di nidi,l'uccellare col vischio o con le reti e l'inverno a sgambettare, più pazzo del mio cane, dove la neve era più alta. Fattomi più grandicello sentii in me un bisogno prepotente di impadronirmi della matita e dei pennelli e per dare sfogo a questa passione, seguivo i contadini nel loro lavoro sia con gli animali o senza per cogliere i loro movimenti." Un bambino come tanti altri, però già attento e osservatore, attratto dalle cose belle, dalle forme e dal colore.
Nel suo taccuino nero descrive con minuzia i luoghi della scuola, le persone e perfino traccia, semplici disegni per illustrare meglio i suoi ricordi. Se li lasciamo parlare riusciamo a "vedere" il mondo in cui ha vissuto i primi anni di vita, un mondo vicino a tanti di noi nati e cresciuti in questi luoghi.
"L'aula della prima e seconda elementare era stata ricavata in una casetta dietro la canonica del parroco, quasi a ridosso del Coro della chiesa, sul margine della stradetta che porta al cimitero, dietro il quale si allargano i colli, fin sotto Fagagna, Moruzzo e S. Margherita, con in basso il castello medioevale di Villalta, castello di triste storia. Il nostro insegnante era il cappellano Ciani di Ciconicco della cui famiglia devo ricordare il fratello parroco quasi centenario[...]. Di questi primi anni di scuola non ho molti ricordi. Mi sono rimaste impresse due cose; l'una ch'io durante l'autunno e inverno partivo da casa avvolto in uno scialle di lana rossa, che dava molto fastidio ai tacchini che trovavo immancabilmente sul piazzale della chiesa e che mi facevano correre, l'altra le "sardelle" che il maestro ci dispensava sovente e volentieri con una bacchetta sulle mani e poi fermi in ginocchio su due sassi fino alla sopportazione. Questo succedeva ogni qualvolta si faceva qualche birbonata o non si sapeva la lezione. Per la terza elementare passammo nelle nuove aule di un edificio costruito fra Ciconicco e Villalta per la comodità degli alunni di questi due paesi che si guardavano in cagnesco. Durante la terza classe cominciai a disertare la scuola attratto da qualche nidiata scoperta nella nostra campagna o per correre con gioia folle sulla neve in aperta campagna col mio fedele cane Pin[...]. Il quarto anno scolastico a Fagagna, sul colle del castello in una casa gigantesca ad un piano ricavalO sopra il portico a due archi a tutto sesto che serviva molto bene per i 10 minuti di ricreazione. Questa casa ricavata a ridosso del colle, era l'unica costruzione nobile fra le poche vetuste e povere costruite forse con i ruderi delle tante mura del castello [...]. Per recarmi dunque a scuola su questo castello [...] partivo la mattina da Ciconicco in compagnia di un ragazzo di un paese più lontano del mio [...] portavo la colazione con me, che consumavo in casa del maestro e la sera si faceva ritorno in famiglia. In quell'anno ebbi modo di imparare diverse cose inerenti all'artigianato, di sviluppare e migliorare quel mio disegno che andavo facendo dal vero per campi e in famiglia [...]. A queste cose mi dedicavo con passione e amore, ma a danno dello studio, naturalmente. Non mancava poi qualche lezione di plastica con l'argilla che ci procuravamo noi stessi e l'esecuzione di cappelli di paglia e di altre cose con truccioli di vari sgargianti colori e qualche disegno da foglie vere [...]. L'aulaera divisa in due settori a sinistra i ragazzi a destra le bambine e fra queste una bellissima di carnagione chiara e cappelli neri come gli occhi, con tono di voce che incantava e non priva di intelligenza; una bambina insomma che mi piaceva. Aveva la casetta una povera e linda casetta, di fronte la scuola e ricordo ancora sua madre, che l'assomigliava, pronta sull'uscio ad aspettarci all'uscita[...]".
Sono anni spensierati per un bambino felice. attratto dalla natura, dalle amicizie e dagli svaghi che quel mondo paesano poteva offrire. Una serenità di breve durata a cui seguirono dolori e responsabilità che certamente imprimono nella sua personalità, un segno profondo e duraturo; e forse tutte le "ombre" di quel suo carattere introverso e tormentato si disegnano già in questi anni ed è stato impossibile per lui cancellarle durante la vita.
"[...] In quel periodo (avevo allora 9 anni) la mamma si ammalò e nulla valse a salvarla. Povera mamma, ricordo benissimo, che, sentendosi mancare, mandò a prendermi a scuola per rivedeemi e baciarmi l'ultima volta. Era molto bella e buona e caritatevole. Non mi permisero di prendere parte ai funerali e fecero male. Mi fu raccontato che le tributarono grande manifestazione d'affetto, in modo particolare dai poveri. Fu per tutti una perdita assai grave [...]. Mio padre morì ch'io non avevo ancora sedici anni [...]. La morte del papà segnò il tracollo della nostra famiglia, tre fratelli già anziani e sposati vollero la divisione dei beni di quell'azienda agricola che al padre saggio ed economico costò tanto lavoro e tanle preoccupazioni [...]".
Pellis si dimostra fin da piccolo determinato e convinto della sua scelta, non si piega ai desideri del padre che aveva per lui altri progetti.
"[...] Addio speranze paterne di fare di me un tecnico dell'agricoltura o un medico, o un mozzo di marina, piuttosto di sacrificami (come diceva lui) ad un'arte piena di incognite e grama di risorse materiali[...]".
È ammirevole però, visti i tempi e anche i sistemi educativi, la disponibilità di suo padre che ascolta i desideri di quel piccolo "ribelle" e accetta di cambiare i progetti che aveva per lui.
"[...] Un anno ancora prima che mio padre morisse, fu invitato a casa nostra il pittore Rigo Leonardo di Udine, bellissimo uomo, intelligente e di idee moderne, affinchè potesse dare un parere ed un consiglio in pro o contro il mio desiderio di iscrivemi ad una scuola d'arte e possibilmente all'accademia di Venezia. Visto quello ch'io andavo facendo, informato della mia disperata volontà di vincere la contrarietà dei miei per raggiungere il mio scopo, lo udii con gioia perorare la mia causa per convincere mio padre ad accontetarmi. Lo vedo ancora a tavola a fianco di mio padre che mi guarda sorridendo con quegli occhi grandi e neri, loquace e spiritoso [...]".
Dopo una breve e negativa esperienza udinese sotto l'insegnamento del prof. Milanopulo "che nulla aveva a vedere con l'arte di cui l'insegnante era sordo [...]" incomincia per Pellis l'avventura veneziana, interrotta dal servizio militare, ma così intensa da lasciargli dentro un desiderio prepotente di tornare in quella città.
"[...] Dopo alcuni mesi decidono di mandarmi a Venezia. Trovo da sistemarmi dallo scultore di legno Piazza, che lavorava in santi, angioletti e Madonne per le chiese [...]. Di questo scultore ammiravo la bravura formidabile nel preparare, con l'aggiunta di pezzi di cirmolo, il blocco vuoto per la statua o angelo che fosse e la velocità con cui abbozzava le figure senza tante misure o modelli. Peccato che a quel brevissimo artigiano mancasse quel senso di interiorità e di maturità che fa grande l'arte, in qualsiasi modo espressa. Frequentai così la scuola del prof. Arch. Rinaldi [...]. Passarono due anni scolastici poco regolari, presi dal desiderio, come mi succedeva sempre, di vagare per Venezia, per musei e chiese, o a dipingere a modo mio, sia sotto il sole o con la luna [...]".
Il servizio mililare allontana Pellis da Venezia. Lo troviamo a Torino, costretto ad un periodo di vita che lo annoia, ma anche qui cerca la salvezza nella sua passione: il disegno.
"[...] Mi iscrivo alla scuola serale di disegno anche per sottrarmi alle noiose trombette della casema. Faccio qualche conoscenza entro in qualche studio. Visito musei e qualche volta le trombette mi chiamano in prigione per fesserie [...]. Ovunque ci portavano, nel mio zaino non mancavano mai i colori [...]".
Assolto il servizio militare, vince la borsa di studio destinata a giovani artisti e trascorre a Roma il periodo che precede il richiamo alle armi, allo scoppio della prima guerra mondiale.
"[...] Vinsi il pensionato Marangoni e poco dopo partii per Roma e trovai studio in via Margutta 33, scegliendo per maestro, secondo l'obbligo del testamento Marangoni, il pittore Sartorio [...]".
La guerra 1914/18 si inserisce come tempo di disagio grave nella giovane vita di Pellis già tanto provata.
"[...] La guerra ci chiamò al grande conflitto nell'aprile del 1914 (sic.). Una guerra tremenda sopportata eroicamente, in condizioni di inferiorità fino alla ritirata sul Piave, dove ogni soldato si moltiplicò per due e per tre, rigettando il nemico oltre 1a frontiera. Uscito da questo inferno-maledetto, ritornai alla mia casa distrutta, carico di dolori reumatici e con l'aggiunta del tifo che mi rovinò il fisico per mesi. Alla fine di questo malanno ritornai a Roma dove trovai a stento una cameretta [...]".
Prima di tornare a Roma, però trascorre un breve sfortunato periodo a Torino. "[...] Dopo molte ricerche e raccomandazioni per poter entrare come allievo e garzone dell'affreschista Casanova, mi indirizzarono a Torino dove Casanova mi avrebbe accolto nel suo studio. Felice di questa soluzione in una città a me nota e bella. Partii in cerca di una camera con molte speranze nel futuro[...]. Pensai di presentarmi, non senza commozione all'affreschista Casanova. Un uomo dall'aspetto e di maniere cortesi mi accolse molto gentilmente e mi presentò i suoi due collaborattori [...]. Si stabilì subito l'orario di lavoro per quello che riguardava la decorazione di un caffè con bar [...]. Ma la cosa non mi parve molto chiara [...] tanto che un giorno mi decisi di interrogare l'aiutante veneziano, sulla personalità dell'affreschista Casanova. La risposta è stata avvilente. La persona alla quale fui tanto raccomandato [...] anzichè rivolgere all'affreschista la raccomandazione arrivò al fratello, che non aveva nulla a che vedere con l'affreschista di sede a Bologna. Dello sbaglio non ho mai saputo chi ringraziare [...]".
Nella sua vita è già entrata una donna speciale e preziosa che gli sarà compagna e guida e amica fino alla morte: Luigia Zennaro. A lei il Pellis fa riferimenlo nel bene e nel male. Anche da Roma le scrive e la informa minuziosamente del suo soggiorno e delle sue difficoltà.
"[...] Lo studio, ch'io chiamerò Tarpeo, proprio dietro il palazzo Caffarelli sul Campidoglio, è sotterraneo, vale a dire a piano terra, poiché il palazzo è costruito in gradinate. Tranquillissimo ma con poca luce. Questo è il suo grande danno. La porta, che fa pure da finestra mette in un piccolo orticello a due gradinate chiuso da rete metallica. Anche questo lo sto mettendo in ordine per seminare e piantare fiori. L'interno, che mi dà e mi diede tanto lavoro, lo trasformai parte in camera da letto e studio, come vedi dalla pianta. Quello di villa Strohelfern è piccolo, ma il grande parco mi permetterà di dipingere all'aria aperta [...]" (1923).
"[...] Di Roma che dirti? Meravigliosa sempre più meravigliosa. Povero Pellis che ha dovuto abbandonarla [...]. Le romane pure sempre belle, gli amici fanno denaro ed io faccio..." (1924).
Tra i ricordi, del taccuino nero, troviamo testimonianza anche del periodo romano, non certo facile, ma pieno di speranze, illusioni e delusioni.
"[...] Dopo lunghe ricerche occupai finalmente una stanza sulla Rupe Tarpea nello scantinato del palazzo Caffarelli, cedutomi da De Chirico e da altri due, colleghi, con un lettaccio e una sedia fuori uso, senza possibilità di acqua e di gabinetto [...]. In un secondo tempo, dopo tante preghiere rivolte al signor Strohelfern, proprietario della villa Strohelfern fuori Porta del Popolo, ottenni per l'affitto di 10 e poi 19 lire mensili una baracchetta di legno m 2x2.90 posta sotto fronzuti alberi a pochi passi dallo studio di Brozzi e di Oppo, Moggioli, Drei e di Bocchi e altri conoscenti tutti abitanti nello stesso parco, ma in belle villette o in case di due o tre piani. Dormivo e lavoravo nel sotterraneo in Rupe Tarpea ma ogni mattina, di buon'ora mi recavo alla villa Strohelfern a ritirare la posta o a visitare di quanto in quanto gli amici colleghi, con i quali mi trovavo pure ogni sera al circolo artistico durante la scuola del nudo quale socio [...]. Non mi fermai molto in quel sotterraneo [...] . Dopo alcuni mesi mi trovai uno studio in via Napione, dove aveva lo studio a pianterreno lo scultore Cellini e sopra lo scultore Stagliano, a fianco dello studio del pittore Benech. Io in soffitta con una intera parete di vetri, che l'estate scaldava,l'inverno diventava una siberia [...]. Quello che guadagnavo facendo il decoratore non mi bastava per vivere e non sapevo più cosa impegnare. Vendere un quadro non era facile e ci riuscii di rado. Quando la situazione stava facendosi più critica, arrivò l'amico Valentino Ciani per visitare la città. Passammo così alcuni giorni girovagando per musei e infine decidemmo di partire per S. Giorgio, dOve mio fratello Giacomo conduceva una azienda agricola in società con i cognati. Partii a malincuore, ma cosa potevo concludere con la debolezza in aumento! Meglio sarebbe stato ritonare dopo una buona villeggiatura [...]" (nota del 1924/25).
Così Pellis, a malincuore torna in Friuli e comincia per lui un periodo difficile e critico, sia per la cattiva salute, ma soprattutto per il tormento di non aver ancora trovato forse un porto tranquillo, ossia una dimensione di serenità e di concretezza. È ormai un uomo maturo, che ha bisogno di fermarsi e invece vaga da un luogo all'altro; di questa inquietudine sono segnate le lettere a Luigia Zennaro.
"S. Michele al Tagliamento - giovedì (1924/25). Sono partito da Collina la vigilia della Pasqua e la domenica, lunedì e martedì mi fermai a Ciconicco. Ho passato le feste in famiglia ciò che non mi succedeva da tanto tempo. Non so quando farò ritorno ai monti, ma certamente il mio desiderio sarebbe per l'autunno. Così dovrei fermarmi qui per qualche mese per alcuni ritratti e un mese a Udine per egual cosa. Ma non so cosa succederà perché sono tante cose che mi spezzano l'anima. Vorrei esiliarmi per sempre dal Friuli e crearmi una stanza che sia mia, dove mi sia possibile tenere ogni cosa e dare sfogo alle mie passioni. Ma non è facile ed intanto mi tormentO con l'ansia del profugo errante. Forse, dopo questa nube, ritornerà ancora il sereno, ma non è così che potrò continuare. Non sono più vent'anni. Sono nell'età di concretare con le massime forze stanco di posarmi provvisoriamente in troppi luoghi, ciò che mi rende impossibile di concretare [...]" (1924/25).
"[...] Da due settimane però sono demoralizzato e tento ogni sforzo per superarmi a favore del mio lavoro che ne risente non poco. Di questa mia situazione sono stanchissimo e Dio faccia che finisca presto. Così non potrò mai creare ciò che mi sta a cuore. Impossibile. La mia sensibilità, che se non pare tale, lo è egualmente, ha bisogno di altra vita. Dinamico come io mi sento e profondamente sincero senza essere cattivo, devo dire e fare quello che sento, tutto ciò che impetuosamente mi nasce dal profondo dell'anima sempre più acceso dall 'arte mia che devo portare bene più in alto di quello che portai fino qui. Illusione d'artista - No! Cento volte no, perché quando moralmente sarò a1tro uomo a tu per tu con la natura, canterò il mio poema più folle. Oggi come oggi, ogni mio entusiasmo s'infrange contro pareti che non capiscono né me né l'arte. Finirò per sfuggire tanti affetti e chiudermi in un mio regno, anche povero, ma ricco di sole libero e fecondo con un solo affetto. Questo vivere mi opprime e mi toglie le più virili forze a danno dell'arte e dello spirito [...]" (1927).
Ha già scoperto la montagna che gli entra dentro di prepotenza come una malattia, non come motivo di pace, ma desiderio di conquista, volendo egli, per tutta la vita, riuscire a coglierla vera e mutevole nelle sue tele, sempre in lotta con le intemperie ad attendere la neve e il sole, a cogliere la luce delle albe e dei tramonti, a distruggere quelle tele dove questo suo intento non gli pare raggiunto. I luoghi che predilige, e che segnano tempi importanti della sua attività sono Collina, Forni di Sopra, ma soprattutto Sauris e Valbruna più tardi.


Elisabetta Brunello Zanitti

Tratto dal catalogo "Giovanni Napoleone Pellis" pubblicato in occasione della mostra tenutasi a Fagagna nel settembre 1988.

NARCISO DI PRAMPERO, PRETE DI CICONICCO NELA META' DEL XVI SECOLO

Nella vita religiosa e culturale del Friuli, intorno alla metà del secolo XVI, si manifesta in maniera sempre più evidente il progressivo diffondersi di un movimento di dissenso dalla tradizione cattolica ufficiale.
Sorto immediatamente dopo l'avvento della riforma, si era accentuato alla metà del Cinquecento fino ai cercare una propria espressione in trattati di carattere teorico.
Una lunga serie di ricerche brevi e di studi di più largo respiro hanno contribuito a definire nella sua genesi e nei caratteri fondamentali quel singolare dissenso che contrassegnò la vita religiosa in Friuli attorno a quel periodo.
Il dissenso religioso in terra friulana conobbe, nel ventennio tra il 1540 e il 1560, il momento della sua massima espansione.

Diffuso un po' ovunque, ma soprattutto nei piccoli centri urbani: da Pordenone a Spilimbergo, a Udine, mostrò una vivacità ancor maggiore o Gemona e Cividale, come dimostrono alcuni documenti recentemente trovati. La breve opera "Specchio de verità", scritto dal sacerdote udinese Narcisso Pramper, nel 1560, esprime al vivo i contenuti dottrinali attorno al quale si accendevo il dibattito religioso nel Friuli di quell'epoca.
Questo trattato ha come sfondo il problema della natura e dell'efficacia dei sacramenti, ed incentra la proprio attenzione sulla Messa.
L'opera originale, non composta in Friuli, si trova presso lo Biblioteca Palatina di Vienna.
L'ambiente storico in cui si inquadra la vicenda di questo prete è il Friuli, alla metà del Cinquecento.
Diviso in due circoscrizioni ecclesiastiche: Aquileia e Concordia, era politicamente soggetto al dominio della Serenissima e, per uno piccola fascia a quello degli arciduchi d'Austria.
Con una economia prevalentemente agricola, che creava larghe sacche di povertà, non poteva esprimere una vitalità sociale intensa, ma la cultura, limitata ovviamente a piccole sacche era assai vivace.
Nonostante la ricchezza di fonti archivistiche, risulta abbastanza difficile comporre una biografia ordinata e completa di Narciso di Prampero.
Le notizie che si possono desumere sembrano lasciare volutamente in ombra taluni dei momenti più significativi della sua vita.
Nacque certamente nella cittadina di Udine, ma non si conosce la data esatta, probabilmente tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento.
Ancor molto giovane, scelse lo stato clericale e si preparò ad essere prete.
Il primo dato certo lo si può dedurre da un documento dell'archivio capitolare di Cividale.
Il 10 febbraio del 1543, infatti, Narciso di Prampero si presentò dinanzi al Capitolato collegiato di Cividale per chiedere che gli venisse concesso l'investitura canonico del beneficio curato dei paesi di Ciconicco, Ruscletto e Plasenzis, vacante per rinuncia.
La curazia, come tutta la pieve di Fagagna, dipendeva dal Capitolo cividalese, fin dallo metà del Duecento.
La richiesta potrebbe sembrare piuttosto insolita poiché veniva fatta da un candidato che non era ancora sacerdote.
Questi però si era presentato munito di una dispensa papale che lo rendevo idoneo o diventare titolare di un beneficio ecclesiastico.
La domanda era motivata anche dalla situazione familiare che era di estrema povertà.
Il vice decano del Capitolo glielo conferì nello stesso giorno, con la sola condizione che si fosse fatto ordinare sacerdote quanto prima. Nella lettura di nomina, il nuovo beneficiato viene definito come uomo di grande probità di costumi, ricco di doti umane e, soprattutto, ancor molto giovane, il che lasciava sperare per lui che sarebbe diventato
un prete capace per il posto affidatogli.
Due aspetti vanno sottolineati: la povertà dei suoi mezzi economici e l'evidente appoggio esterno di personalità influenti.
Il periodo più misterioso della sua vita resta quello che intercorre tra il 1544 ed il 1558.
Un quindicennio durante il quale il suo nome compare con una frequenza impressionante nei registri e negli atti curiali aquileiesi, sotto forma di reclamo, di protesta, di intentato processo, di scomunica minacciata.
Tutti gli interventi erano motivati però non da atteggiamenti o posizioni contrati alla fede o alla morale, ma dal fatto che aveva il vezzo di contrarre debiti ovunque e con tutti.
Di condizioni economiche modeste, spendeva continuamente: al gestore di una piccola locanda di Ciconicco doveva ben cinquantacinque ducati perché era solito inviarvi, come ospiti, la propria madre, il fratello e perfino la serva.
La contesa maggiore se l'era procurata con un nobile cavaliere, cittadino di S. Daniele, Francesco Stella, al quale aveva chiesto in prestito una somma notevole di denaro, ovviamente senza restituirlo.
In seguito a questa vicenda il di Prampero, citato dinanzi al tribunale civile, era stato scomunicato ed incarcerato. Egli era però riuscito a rompere le porte del carcere ed a fuggire.
Alla luce di questi avvenimenti, il di Prampero sembrerebbe piuttosto un avventuriero che un sacerdote in cura d'anime.
Forse però in questo periodo così tormentato egli prese contatto con qualcuno degli esponenti della Riforma protestante che circolavano con una certa frequenza in Friuli.
Fuggito dal carcere, riparò nella vicina diocesi di Concordia; ma lo Stella lo citò dinanzi al tribunale vescovile di quella diocesi, riuscendo a far emettere dal vicario un decreto di carcerazione.
Il di Prampero allora, si rivoltò contro questa delibera che gli pareva del tutto ingiusta, e presentò un ricorso alla Curia concordiese con la minaccia di adire al Legato Pontificio in Venezia, a qualsiasi tribunale ecclesiastico, ivi
compreso quello della Sede Apostolica.
E certamente sorprendente l'atteggiamento di questo prete che da anni veniva perseguitato dinanzi ai tribunali. Evidentemente contava amicizie influenti sia negli ambienti della nobiltà laica, come in quelli più elevati del mondo ecclesiastico.
Questo fatto spiega anche il perché, nel decennio precedente, egli sia riuscito ad evitare una condanna definitiva ed a fuggire addirittura dalle carceri patriarcali.
Il 1557 segnava però una pagina importante per la vita ecclesiastica nella diocesi d'Aquileia: a Luca Bisanti successe un nuovo vicario, Jacopo Marocco, al quale stava a cuore in maniera assai più profonda la vita religiosa che egli si proponeva di guidare soprattutto attraverso la riorganizzazione del tribunale inquisitoriale che avrebbe dovuto vigilare sulla ortodossia.
Proprio agli inizi della attività riformatrice del Marocco, Narciso di Prampero venne definitivamente condannata in contumacia,il 17 marzo 1558.
Il testo dello condanna è generico, tuttavia pare che essa sia stata determinata dalle pendenze economiche nei confronti dello Stella più che da sospetti di carattere religioso, legati alla sua adesione alla eresia.
Poco più di un anno dopo, il sacerdote, fortunosamente fuggito dal Friuli, era riparato nei paesi dei riformati dove compose, quasi immediatamente, la sua opera: Specchio della verità.
È evidente che egli aveva già in precedenza meditato lungamente sulle idee della riforma e le aveva fatte proprie soprattutto per ciò che concerneva il sacramento dell'eucarestia e la celebrazione della Messa.
Le ultime vicende della sua permanenza in Friuli: l'incriminazione per eresia, la cattura, la carcerazione, la condanna alle galere veneziane, la prodigiosa liberazione e lo fuga vengono narrate da lui stesso, in una delle pagine più accese e drammatiche dell'opera.
Dopo il 17 marzo 1558, quando venne condannato in contumacia, egli fu arrestato e messo in carcere, legato con catene e sottoposto al più completo isolamento.
Il vicario Marocco tenne lontani tutti i parenti, non solo, ma rifiutò di concedergli l'avvocato difensore e di trasmettergli gli atti processuali in modo che potesse imbastirci su una difesa.
Lo minacciò continuamente di tortura finché lo condannò alle galere.
Durante la notte fu trasportato su un carro di contadini fuori dalla città di Udine dove il vice cancelliere della Curia gli lesse lo sentenza di condanna.
A questo punto però si verificò il fatto miracoloso: le catene che lo avevano legato si sciolsero ed egli riuscì a fuggire.
Raggiunse lo città di Caorle sulla sponda dell'Adriatico e di li passò nelle terre dei riformati.
La drammaticità del racconto non ha certamente lo stretto valore di una narrazione storica ma, probabilmente, dipinge lo stato d'animo degli eterodossi friulani perseguitati dalla inquisizione.
Stando o questo racconto, il processo non sembra essere stato celebrato secondo gli schemi abituali del S. Officio di Aquileia e Concordia, ma piuttosto con una certa fretta di concludere la vicenda con una condanna esemplare nei confronti di un personaggio pericoloso e assai scomodo.
La fuga del di Prampero fu un fatto veramente clamoroso non perché, come egli asserisce, gli si sciolsero "miracolosissimamente" i ferri ai quali era legato, ma perché riuscì a sottrarsi alla custodia di una ventina di sbirri armati di alabarde.
Quella liberazione fu realizzata evidentemente con la complicità di persone amiche e sicuramente potenti.
Sulla base di alcuni documenti d'archivio, si può ipotizzare che lo fuga sia avvenuta tra la secondo metà e lo fine dell'anno 1558.
Dove sia fuggito non lo si sa, certo è che raggiunse uno dei gruppi fuorusciti italiani per motivi di eresia e andò in un paese dove non si parlava la lingua italiana.
Poco più d'un anno dopo, aveva già composto il suo trattato "Specchio de verità" che porta la data del 1560.
La brevità del periodo da lui impiegato nella elaborazione del lavoro fa sospettare che avesse usato, come traccia, un'opera già edita in precedenza e posseduta dalla biblioteca nazionale di Firenze, che aveva come soggetto la Messa.
Il trattato che Narciso di Prampero afferma di aver composto nell'anno 1560, consta di 122 fogli manoscritti.
Le caratteristiche fondamentali del trattato si vanno delineando fin dal suo avvio.
Il di Prampero di propone, sulla base di un confronto serrato e continuo con i testi della Scrittura, di dimostrare come la Messa, nel rito cattolico, fosse un vero mistero di iniquità.
Il trattato del di Prampero costituì il primo serio tentativo di propagandare anche in Friuli i contenuti più specifici di un ampio dibattito religioso che si era svolto nei circoli più radicali della emigrazione italiana in Svizzera.
Un tentativo, comunque, che pare sia fallito sul nascere perché l'unica copia integrale dell'opera del di Prampero rimase nella biblioteca di Vienna.
Mai invece compare un accenno a questo libretto nei processi inquisitoriali che si succederanno in Friuli per oltre un secolo.

 

Tratto da "Narcisso Pramper da Udene: un prete eretico del cinquecento" di Luigi De Biosio.