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PREMESSA
Quando il 15 agosto 1925, don Ermenegildo Florit cantò la sua prima messa nella parrocchiale di S. Maria Assunta di Fagagna, la famiglia di suo padre Angelo e Regina si era già trasferita da un anno dal capoluogo nella frazione di Ciconicco.
Così don Ermenegildo divenne a poco a poco ciconicchese di adozione imparando a conoscere la gente del luogo che, con la sua abituale bonomia, egli amava intrattenere in amabile conversazione.
Il Cardinale ebbe certamente un rapporto di particolare affezione alla nuova patria della sua famiglia.
A parte i legami di sangue che ve lo richiamavano egli si trovava a suo agio perché Ciconicco era ed è rimasto più profondamente attaccato agli schemi di convivenza legato ai suoi ricordi d'infanzia.
Trovava insomma più umiltà e semplicità che erano le sue virtù preferite.
E forse per questo egli amava in Ciconicco il simbolo di quanto c'era di buono e bello nella nostra dura, ma fedele antica civiltà contadina.
Le origini
Il Cardinale Ermenegildo Florit era nato a Fagagna, in Diocesi di Udine,il 5 luglio 1901, da un'umile famiglia di lavoratori. Sulla sua prima educazione ebbe larga influenza la madre, una donna forte e saggia; suo padre infatti fu spesso assente da casa, come la maggior parte della gente friulana d'allora, periodicamente emigrata all'estero per lavoro.
I Florit ebbero nove figli: di conseguenza non mancarono ristrettezze economiche e momenti difficili, anche se affrontati con coraggio e con fede.
Gli studi
Dopo le Elementari Ermenegildo fu accolto nel Seminario diocesano, prima in quello minore di Cividale (dal 1913 al 1915), poi al maggiore di Udine.
I condiscepoli di allora (non molti i superstiti, fra cui il Vescovo Emilio Pizzoni, già Ausiliare di Udine) lo ricordano come un ragazzo mite, riservato, un po' malinconico e timido, amante della preghiera e dello studio. <BR>Nel 1917, in seguito alla ritirata italiana di Caporetto, ci fu la triste anche se breve esperienza dell'occupazione austriaca del Friuli.
Il futuro Cardinale ne conservò un ricordo doloroso, anche per certi episodi di fame e di violenza bellica che colpirono la famiglia Florit e la popolazione di Fagagna.
Terminati gli studi liceali, nel 1922, il giovane seminarista veniva inviato a Roma per gli studi teologici presso la Pontificia Università del Laterano.
In quel periodo fu alunno del Seminario Romano.
L'Istituto, topograficamente attiguo alla Cattedrale di Roma, la Basilica Lateranense, era caratterizzato, ancora di più, dallo spirito di assoluta fedeltà e di amore al Papa che vi si respirava e dalla severa disciplina, anche se temperata dal clima familiare del Seminario stesso e fatta amare da figure di indimenticabili educatori, che Ermenegildo Florit continuava a ricordare con riconoscenza fino nella sua tarda età.
Al Seminario Romano il Cardinale tornò sempre volentieri, almeno fino a quando la sua salute lo permise e non cominciarono a diradarsi, per la scomparsa di molti, le file degli antichi condiscepoli.
Sacerdote
L'anno santo 1925 restò memorabile nella vita del chierico Florit: l'11 aprile infatti veniva ordinato sacerdote in S. Giovanni in Laterano e nella successiva domenica di Pasqua celebrava la prima Messa sull'altare della Cattedra della Basilica Vaticana.
Il 6 luglio di quello stesso anno Florit si laureava brillantemente in Teologia all'Ateneo Lateranense e passava quindi all'Istituto Biblico della Pontificia Università Gregoriana (1925-27) dove conseguiva i gradi accademici in S. Scrittura.
Nell'estate del 1927 è di nuovo nella sua terra natale, destinato come vice-parroco nella cittadina di Palmanova e cappellano nell'ospedale locale.
Iniziavano due anni lieti e operosi.
Don Emenegildo amava il lavoro in parrocchia e tra i giovani, e ormai immaginava il suo futuro legato soprattutto alla cura d'anime e all'insegnamento di S.Scrittura in Seminario, come aveva deciso l'Arcivescovo di Udine.
Nell'autunno del 1929 l'intervento inaspettato di Papa Pio XI orienta diversamente la vita del giovane prete.
In conseguenza del riordinamento degli studi sacri e degli Istituti teologici realizzato con la Costituzione Apostolica "Deus scientiarum Dominus" da quel Pontefice, mons. Ernesto Ruffini (poi Cardinale Arcivescovo di Palermo) viene nominato Segretario della Congregazione dei Seminari e delle Università, e deve lasciare la cattedra di S. Scrittura all'Ateneo Lateranense.
E' lui a proporre al Papa, quale successore, quello che reputa il più qualificato tra i suoi ex-alunni.
L'Arcivescovo di Udine, che non vuol perdere un insegnante di Scrittura appositamente preparato per il suo Seminario, tergiversa.
A metà ottobre, allora, giunge direttamente l'ordine del Papa; portarsi immediatamente a Roma ed iniziare subito l'insegnamento.
Appena il tempo di raccogliere le proprie cose.
Lo accompagnano alla stazione di Udine i ragazzi della sua parrocchia, che perdono il maestro, l'amico, l'animatore della banda musicale e della filodrammatica, il simpatico arbitro delle partite al pallone nel campo di gioco sotto i bastioni dell'antica cittadella militare veneta di Palmanova.
Chi, a distanza di cinquant'anni, ha accompagnato il Cardinale nelle sue visite a Palmanova, primizia - come lui la chiamava - del suo sacerdozio, ha sentito largamente rievocare, con quel misto di allegria e di malinconia che caratterizza l'animo e i racconti dei friulani, le gesta giovanili della "banda di Pre' Gildo", come simpaticamente veniva chiamato il vice-parroco.
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LE PAGNOCHE DI VINARS SANT
A Ciconicco da tempo immemorabile c’è la consuetudine di dare il giorno di Venerdì Santo un pane ad ogni nucleo familiare.
Fino a pochi anni fa il pane era del peso di 1 Kg., ora per varie ragioni si è ridotto a metà.
La data d’inizio dell’usanza non si conosce: certo era già prima del 1.600.
Una nota segnata in uno dei registri conservati nell’archivio parrocchiale, dice: 7bre 1.618: Nota come fu relevato il testamento di Hieronimo Cichino per mano del Signor Giobatta Calligaris nel quale si contiene di legato….. et formento pesenali 3 al Comun il dì di Venerdì Santo. La parola "Comun" non ha il significato di adesso, ma di comunità paesana.
Qualcuno ha pensato che questo fosse l’inizio del legato. E’ poco probabile in quanto 3 pesenali (circa 40 Kg.) non è un capitale sufficiente per dare un interesse capace di sostenere ogni anno una spesa di circa 200 Kg. Si pensa invece che il Cicchino abbia voluto lodare questa iniziativa aggiungendo il suo contributo.
Seguendo i libri amministrativi del 1.700 e 1.800 spesso si trova alla domanda: "origine e documento del legato", la risposta "ignoto e antichissimo".
Con il 1.865 cessa l’adempimento del legato da parte della Chiesa o fabbriceria. Nel 1.866 sono stati incamerati tutti i beni delle Chiese ed Enti ecclesiastici da parte dello Stato, per cui manca la fonte che dava i mezzi per sostenere l’onere del legato.
Il desiderio della popolazione però era che non morisse questa tradizione e fu assunta perciò dall’altro Ente frazionale cioè dall’Amministrazione dei Beni Frazionali (chiamata CONGRUA).
Così la tradizione del PANE DEL VENERDI’ SANTO continuò e continua ancora.
Infatti nel 1.892 la Congrua spese a Valentino Pellis per macinare Kg. 343 di frumento L. 4,99; e a Grosso Giacomo di Fagagna per manifattura e a saldo delle focacce fatte dalla frazione di Ciconicco L. 12,10.
Nemmeno i tempi difficili della guerra impedirono il mantenimento della consuetudine. Nel 1.918 anno dell’invasione e di vera fame, le 130 famiglie di Ciconicco poterono avere in quel Venerdì Santo la solita focaccia di un Kg.
VOTI DELIBERATIVI DELLA FRAZIONE
Voto verso la Beata Vergine delle Grazie di Udine, in rendimento di grazie per la liberazione della peste, 1.511 – 1.545. Viene assolto con la partecipazione dei frazionisti (ancora in buon numero) alla celebrazione della S. Messa, officiata dal Parroco nella Basilica delle Grazie, la prima domenica di maggio.
Simile voto viene assolto verso la B.V. del Carmelo di Ribis la seconda domenica di maggio.
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La costruzione della Chiesetta di S. Rocco nella sua attuale volumetria può essere fatta risalire al XVI secolo, in luogo di una precedente ancona votiva esistente sullo sporto collinare centrale della morena in linea con la Parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano ed un’altra piccola chiesetta, più antica, dedicata a S. Nicolò, oggi scomparsa, ma ancora documentata sulla mappa “Napoleonica”.
Quando fu costruita tale ancona, da chi era voluta e a chi era dedicata non è possibile saperlo. Ma tutta la zona fu interessata da una intensa colonizzazione romana, come dà testimonianza il toponimo prediale gallo romano Ciconicco (fondo di Ciconio) ed i romani collocavano piccoli altari od edicole dedicate agli dei ad ogni trivio o quadrivio. Di ciò nulla rimane, solo Mario Lauzzana, nel suo lavoro “Cicunins cincentains 1470 – 1870" narra di una antica pietra sulla quale era scolpita la data 1.502, rinvenuta nella vecchia scalinata di accesso alla chiesa ed ora smarrita.
Lo sforzo economico necessario a completare la costruzione, probabilmente richiese un arco di tempo abbastanza lungo e, a strutture murarie ultimate, verso la fine del Cinquecento, fu collocata la pala di legno intagliato, con immagini dipinte ad olio su tavola. Imponente e massiccia, era completata da una struttura in legno, nella quale si aprivano due porticine che, munite di tenda, separavano la parte posteriore dell’abside a costituire una piccola sacrestia. A tutte queste necessità economiche fece fronte quasi sempre la Confraternita di S. Rocco, che si dovette costituire in quello stesso secolo e della quale fecero parte “sorestans” e “sotans” legati dalla stessa preoccupazione: impetrare la grazia ed il perdono divino tramite l’intercessione di S. Rocco, per sfuggire alle ricorrenti pestilenze.
S. Rocco è costituita da una navata rettangolare aperta in un’abside quadrata attraverso un arco trionfale a sesto acuto, tipico dello stile in uso in epoca rinascimentale. La navata è ricoperta con travature a vista e tavelline con decorazione bicolore, mentre nell’abside c’è una volta a crociera in mattoni sostenuta da costoloni poggianti su peducci in pietra calcarea. La facciata prospettante sul quadrivio è completata da un campaniletto a vela con bifora. Il prospetto principale, su cui vi è l’unica porta di accesso e due finestre simmetriche, è alleggerito da una nicchia che in origine doveva ospitare una immagine sacra,probabilmente affrescata; sopra di essa o gnomone di una meridiana anche essa scomparsa e poi un piccolo occhio la cui funzione era di dare ventilazione alle strutture lignee del coperto. La navata è illuminata anche da quattro finestre simmetriche sulle pareti laterali, mentre l’abside ha due aperture circolari di fattura ottocentesca.
La pala dell'altare
L’altare della Chiesetta di S. Rocco, su cui si celebravano le funzioni religiose, fu dotato, fin dalle sue origini, di una policroma pala lignea, nella quale i fedeli potessero concretamente vedere le immagini del loro Credo. Architettata in legno abete intagliato, decorato e dipinto con oranati, sculture e figure, la struttura è basata su una elaborata predella, a due fasce, con volute e cornici simmetriche, al di sopra della quale sono due ordini a tre scomparti ciascuno, contenenti tavolette dipinte ad olio, con immagini sacre. Il registro inferiore, le cui superfici sono scandite da quattro semicolonne scanalate, contiene la figura della Madonna al centro, ai lati, a sinistra San Rocco ed a destra San Sebastiano.
La parte superiore, spaziata da quattro cariatidi , in atteggiamento orante le due centrali, penitente le due marginali, ha la figura di Maria all’atto dell’Annunciazione al centro, Santa Caterina a sinistra e Santa Lucia, trafitta da spada a destra. L’Altare è coronato da un’edicola centrale, ove il Padre Eterno, che tiene con la mano sinistra il globo dell’Universo, con la mano destra, benedicendo, si pone a supremo arbitro del Tutto. Ai suoi lati, due templi tavole, prive di cornici, di taglio rampante, con due angeli: quello di destra, con le mani al petto è rivolto al Padre, quello di sinistra con la tunichetta che lascia scoperto il torace, guarda in basso, alla Vergine.